In-certezze


| Paolo Brescia |

Sul v(u)oto politico del 4 marzo si è detto già molto e molto altro da qui ad almeno i 15 giorni che vengono, si dirà. Si osserveranno dinamiche, si additeranno colpevoli, si autoproclameranno vincitori e vinti, in barba al capitale ruolo giocato da Mattarella nel già tante volte provato sistema che dimentica i poteri del capo dello stato, che pure restano immutati da oltre 70 anni.




La situazione è nota ai più. Il 4 marzo ci ha lasciato un paese giallo, non cianotico, ma comunque ammalato di una non ben definita collera sociale. Un giallo dunque di livore, però non disarmonico: infatti il colore intende evidenziare il dominio pentastellato in ogni ordine e grado in termini di conquista territoriale, soprattutto da Roma in giù. Picchi percentuali altissimi, infatti, sono andati nelle casse del Movimento di Beppe Grillo, che, però, non sembra intenzionato a ridare indietro, nemmeno in parte, come invece fatto per gli stipendi dei propri deputati.

È un paese però che non si colora tutto di giallo ma assume anche tratti blu: quelli della paura, che è una causa e conseguenza della rabbia. Questo blu, al giro attuale, non è rappresentato in maggioranza dalle risposte moderate, però, sintomo di una paura più grande del solito, sintomo di una Lega in auge più del amico - rivale storico Silvio Berlusconi che si definisce regista del centrodestra, ma che col 13.5% forse, forse, appare solo nei titoli di coda del film della Repubblica, questa volta.

Quello che proprio non si vede in termini di colore è il rosso passione. Come se questa politica si sia svuotata di quei temi cari alla sinistra, o come se i governi a colore rossastro, qualcuno li definisce bianchi come la neve candida, altri direbbero neo-democristiani, non abbiano saputo comprenderli un se stessi per trasformarli in consensi. Quel che volete, ma la sinistra ha preso un brutto colpo. Il PD dei Territori, il PD dei circoli, il PD iper organizzato si è perso nel bicchier d'acqua di una Campagna astrusa, "poco sentimentale" ha detto Matteo Renzi, che col sentimento ha fatto scuola, sopratutto in giacca di pelle ad Amici. Un politico vicino alle persone di strada, vicino come la Terra dalla Luna, dicono i maligni, che - dimentico di una esperienza di governo sciupata malamente- ha portato in condizioni comatose il suo, potenzialmente creativo, partito. L'esperienza delle sinistre- sinistre, però, non è di certo di maggior qualità. I pochi consensi ricevuti, soprattutto le laceranti sconfitte negli uninominali, hanno decretato la fine del pensiero politico post comunista, fatto di lavorii sottobanco a detrimento delle sinistre unite. E alla fine l'impresa epica si può dire veramente andata a segno se un uomo d'onore del progressismo nostrano, D'Alema, riesce ad arrivare ultimo nel suo collegio pugliese.

Eccole allora le incertezze del Paese.

La prima, grande. Chi governerà, con quali numeri e con quali sostegni. Questo compito come detto in apertura spetterà a chi vorrà il presidente Mattarella, ma è chiaro ed evidente che non si potrà trattare di un uomo solo al comando. Niente Matteo Salvini e niente Luigi Di Maio in solitaria, è evidente. E a maggior ragione l'evidenza spaventa e non rassicura. In un momento in cui è solo la moderazione a dare le chiavi di s-volta, negli occhi dei primi classificati nella tornata elettorale di domenica c'è ben altro che il governo di compromesso. C'era, e c'è, il potere cercato, il completo possesso dell'area di azione. Che però, Mattarella sovrano, non potrà essere messo in atto.

La seconda paura è sulle opposizioni e delle opposizioni. Il Pd con i suoi nemici amici a sinistra si troverà, per forza, a giocare il ruolo dell'opposizione. Forza Italia sarà un partito mezzano, con anime legate al drasticismo padano e altre, miti, che guarderanno giornalmente dagli spioncini del Nazareno. Da qui al che salti il banco del centrodestra la strada potrebbe abbreviarsi, con conseguente (ad oggi una fantasia, ma...) uscita di Berlusconi dalla coalizione, per un passaggio di scopo nei banchi dell'opposizione col Pd, per una strana coppia moderata che poi tanto strana, lo sappiamo, non è. A quel punto governo bicolore con tanti scontenti, ma governo tendenzialmente forte e di azione "estremista", e opposizioni caute unite solo dal pensiero anti grillino. 

La terza paura è una terza via, in realtà,  e potrebbe realizzare una storia d'amore mai ammessa ma sempre fantasticata, nemmeno a dirlo, l'alleanza tra Pd e M5S per dare al paese una nuova legge elettorale e tornare al voto. Una strada che sembra ancor meno percorribile delle altre, ma è solo la somma delle paure citate che darà, in questi giorni, una possibile risposta. E poi spetterà al Presidente tracciare una linea, chiedere preghiere, e optare per la tragedia minore. Col paese che, intanto, guarda. 


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