(Non) basta un "Sì", ma non si vive di soli "No"

di Paolo Brescia

Il prossimo 4 dicembre siamo chia...
Saltiamo le premesse, ché dallo scorso aprile ne abbiamo sentite di cotte e di crude, di amare, di dolcificate, di vere e di falsate.


Il referendum costituzionale ci chiama a due operazioni fondamentali, che a poco più di una settimana dal voto possiamo perdere di vista, rischiando. Son due passaggi che stanno prima e al di sopra del merito. Per quello, gli strumenti sono molteplici, diffusi, rintracciabili. Ad inizio prossima settimana uscirà un mio video realizzato ben volentieri per gli amici di Sapienza TV, quindi pensate un po', siamo finalmente "pieni" di merito. Il metodo lo hanno asfaltato da tempo i nostri onorevoli. Dunque cosa resta? Le due questioni di prima. Non ve le ho ancora dette, giusto.

Il primo passaggio è un esercizio. L'esercizio di non considerare l'altro come furbo o doppiogiochista. Esercizio arduo, richiede un allenamento lungo. "Se sostiene il sì, lo fa perché interessato economicamente". O ancora: "Se tiene per il no, è un trombone che nella vita vuol fare il senatore e prendere la super diaria". Perché? Quale ragione spinge a vedere così gli altri? Non essere pienamente convinti delle ragioni che si stanno sostenendo. L'"aggressione" parte sempre da lì. Così facendo facciamo il gioco dell'altro, comunichiamo male, siamo sempre sul piede di guerra, e non siamo di certo attraenti. Insomma il politico non può ragionare su questa linea comunicativa. Ma se Goldman Sachs sostiene il sì e il The Economist è per il no, non lo vedi che siamo pieni di guazzabugli economici? Infatti, non si sta dicendo che la lotta referendaria si gioca con le aureole sulla testa, ma, certo, lo sforzo di ricercare il vero motivo per cui siamo convinti di "..", ci aiuta a rispettare l'altra opinione. Tanto, se sono così sicuro, così tranquillo, che ragione ho di parlare (male). Non è campagna, è aridità.

La seconda strada da seguire è la considerazione complessiva del pre e del post referendum. La riflessione più acuta arriva in questo caso (senza prendere le parti dell'uno o dell'altro schieramento) da Matteo Renzi, che ha dichiarato: "il 5 dicembre non ci saranno le cavallette", ricalcando il discorso delle piaghe d'Egitto. Nessuna cavalletta, nessuna carestia. Il premier lo ha detto, non altrettanto hanno fatto i comitati del sì, del no, e lo stesso governo da lui rappresentato, in altre occasioni. Ma per quella frase, chapeau. Fare il gioco disfattista non serve a nulla, non è mai servito in 70 anni di Repubblica, con momenti ben peggiori alle spalle. I "decenni di tempo che serviranno per avere una nuova riforma" secondo il "sì", sono tempi falsi: per diminuire i parlamentari, abolire il Cnel, riformare il titolo 5, bastano pochi passi, basta la modifica di pochissimi articoli costituzionali, anche con un no. Dall'altra parte il "disastro istituzionale", le "derive autoritarie", la "supremazia statale inammissibile" della sponda del "no", sono esagerazioni in pompa magna che passeranno presto, dovesse vincere il sì.


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